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Mar, Set
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Napoli, come Lazzaro

Attualità
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Dalla disperazione del colera alla rinascita di una metropoli europea

di Giuseppe Mazzella

Nel 1973, Napoli sembrava senza futuro: un'epidemia, il caos urbano, l’abbandono culturale. Mezzo secolo dopo, l'autore racconta la rinascita di una città che ha saputo risorgere, riscoprendo la sua vocazione storica, turistica e civile.


Non avrei scommesso una lira, una sola, 52 anni fa, nel 1973, quando esplose l’epidemia di colera proprio alla fine di agosto, a Napoli e in provincia. Ero certo che Napoli non avesse futuro. Era una metropoli caotica dove non funzionava nulla, dove ciascuno pensava solo alla propria sopravvivenza. Tutto era provvisorio, e al cattivo vivere ci eravamo ormai abituati.

Nel 1973, dopo il colera, erano già cinque anni che frequentavo la metropoli: io, ischitano dell’isola felice, che in quegli anni viveva il suo momento magico di massima espansione con il turismo tedesco. Ad Ischia arrivavano mille turisti alla settimana con i voli charter provenienti dalle otto principali città della Germania Ovest. Da marzo a ottobre, con cento alberghi termali sempre pieni.

Ricordo che il general manager della Ischia Reisen, la più importante agenzia turistica tedesca (con sede centrale sulla Kurfürstendamm, nel cuore di Berlino Ovest, ancora divisa dal Muro), si chiamava Peter Niepagel. Faceva di tutto per limitare il contatto dei turisti con Napoli. Arrivati all’aeroporto di Capodichino con voli charter di una compagnia inglese (perché lo spazio aereo di Berlino Ovest era riservato solo alle quattro potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale), Niepagel aveva organizzato un sistema perfetto: i turisti venivano trasferiti direttamente ai cento alberghi convenzionati di Ischia, senza vedere — né dover riflettere — sul degrado di Napoli.

Anche noi, sull’isola felice, ci eravamo abituati a vivere senza i guasti della metropoli.

Il 1973 fu l’anno del massimo degrado, con l’epidemia di colera che le autorità si ostinavano a chiamare "infezione", per non allarmare ulteriormente la popolazione. Ma fu una vera epidemia, con una campagna di vaccinazione collettiva. A Casamicciola, fu l’ultima volta in cui il complesso del Pio Monte della Misericordia funzionò come ospedale di zona: fu il centro delle vaccinazioni per tutta la popolazione.

La ripresa dopo l’estate fu durissima. Napoli, a settembre 1973, sembrava una città sotto assedio. Le manifestazioni dei disoccupati erano continue. Si respirava un clima di instabilità permanente e di insicurezza civile, che sarebbe diventato normalità per almeno venticinque anni. Non c’erano turisti, se non qualche inviato speciale della stampa estera. I pochi alberghi sul lungomare Caracciolo e nel centro resistevano con tenacia, ospitando una clientela esclusivamente d'affari. Nessuno veniva a Napoli per conoscere e amare l’immensità del suo patrimonio monumentale, storico, culturale.

Io ero “sceso” a Napoli nel 1968, a 19 anni, per iscrivermi alla Facoltà di Economia e Commercio, che allora aveva sede in via Partenope, proprio sul lungomare. Il mare che bagnava la città era tutto inquinato, e peggiorava di anno in anno. Ma resistevano — tra le sirene continue della polizia — i grandi alberghi del lungomare.

Non pensavo che Napoli potesse avere un futuro.

Poi, vi ho lavorato per 26 anni, dal 1976 al 2002, in un posto di responsabilità e di osservazione politica, economica e sociale. E ho visto — anzi, ho partecipato — alla rinascita di una grande città. Napoli, che è la terza città d’Europa per valenza storica, dopo Parigi e Londra, ha saputo risorgere come Lazzaro.

Ha saputo riprendere, diffondere, consolidare la sua vocazione turistica, aprendosi al mondo intero.

Vedere, assistere, vivere questo Rinascimento — che si manifesta anche nell’estrema cortesia di un tassista della Radio 8888, che accompagna me e mia figlia Sarah dal Vomero al Beverello nell’ultima giornata dell’estate, proprio il 21 settembre — è una sensazione magnifica.

Una grande speranza per il futuro.

Una convinzione: che tutto è possibile in questo mondo, nella nostra civiltà della ragione e della volontà, se sappiamo cogliere — come dobbiamo — il protagonismo dell’uomo civile, chiamato a fare historia, come diceva Machiavelli.


Giuseppe Mazzella
Giornalista, saggista e osservatore della realtà politica, sociale ed economica del Mezzogiorno. Ischitano, ha lavorato per oltre vent’anni a Napoli, raccontando da vicino la trasformazione di una metropoli che sembrava destinata alla scomparsa e che invece ha saputo rinascere.