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Lacrime sulla Palestina

Attualità
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Una terra contesa, due popoli, una ferita ancora aperta
di G. M.

 

“Nessuno può capire che cos'è questo Stato per noi. È come una famiglia per chi non l'ha mai avuta, un letto per chi ha sempre dormito sulla terra, una coperta e un po' di fuoco per chi ha trascorso una lunga notte all'aperto, fra il vento e sotto la pioggia.”
David Ben Gurion

Conosco questa frase da 56 anni. La lessi sul settimanale Panorama, diretto allora da Lamberto Sechi. Pubblicavano delle schede settimanali per un’Enciclopedia dei contemporanei: i personaggi del tempo. C’era anche il raccoglitore. Ho conservato tutto.

Una di quelle schede era dedicata a David Ben Gurion, il più importante padre della patria di Israele. Uscì nel n. 121 dell’8 agosto 1968, a un anno dalla Guerra dei Sei Giorni.

In quella guerra, Israele sconfisse tutti gli eserciti arabi, conquistando l’intera Cisgiordania — che dal 1948 era occupata dalla Giordania — e che, secondo le decisioni dell’ONU, sarebbe dovuta diventare il cuore dello Stato arabo di Palestina. Israele occupò anche l’altra metà di Gerusalemme (allora in mano giordana), le alture del Golan (siriane), e tutto il Sinai (egiziano). Se la guerra fosse durata altri sei giorni, Israele sarebbe arrivata al Cairo.

Fu una vittoria lampo di un piccolo Stato circondato da nemici, che si espanse ben oltre il territorio originariamente assegnato dall’ONU nel 1948. Ma mentre Israele cresceva, esplose il dramma degli arabi palestinesi, che vennero cacciati dai loro villaggi, persero le loro terre e fuggirono verso l’ignoto. Senza più casa, senza più patria. Una terribile conseguenza di una guerra perduta.

Nel 1967, tutto l’Occidente era schierato con Israele. Ma cominciava ad affiorare agli occhi del mondo la tragedia del popolo palestinese: senza Stato, senza terra, senza diritti. E proprio da quella sconfitta nacque una forte identità nazionale palestinese, che il mondo arabo, fino a quel momento, aveva largamente sottovalutato.


Oriana e Habash

Avevo 18 anni. Da allora — 1967 — ho cominciato a seguire con passione e interesse la questione palestinese, forse la più complessa nella storia contemporanea. Leggevo tutto ciò che potevo: Olocausto di Gerald Green, Gerusalemme! Gerusalemme! di Dominique Lapierre e Larry Collins, un’opera fondamentale, introdotta da versetti tratti dalla Bibbia, dal Vangelo e dal Corano, a sottolineare il valore sacro della città per le tre grandi religioni monoteiste. Ed è proprio questa sacralità a trasformare la terra in oggetto di un conflitto eterno, spesso esasperato fino al fanatismo religioso.

Ma perché una guerra permanente tra due popoli per conquistare la stessa terra? Perché il terrorismo palestinese?

Una risposta illuminante tentò di darla Oriana Fallaci, nell’intervista a George Habash, uno dei più temuti leader del terrorismo palestinese, pubblicata nel marzo 1972 nel suo libro Intervista con la storia. È forse la sua intervista più potente.

Oriana racconta chi era Habash: un medico pediatra, che curava bambini in Giordania, e che un giorno diventò un capo terrorista. Perché? La risposta è nella sua trasformazione interiore.

“È la creatura di un uomo ferito nei suoi sentimenti migliori, nelle sue idee più sane, direi nel suo cristianesimo. È l’organismo che ha sostituito, nel cuore e nella mente del dottor Habash, la clinica pediatrica di Amman...”

Habash fondò il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina dopo la scissione dal Movimento Nazionale Arabo. Abbracciò la strategia del terrore sul piano tattico e la dottrina comunista-maoista su quello ideologico. Il contrario, insomma, di Al Fatah.

Poi, Oriana racconta il pianto di Habash:

“Pianse davvero. Mentre raccontava ciò che aveva visto nel 1967, quando trentamila palestinesi se n'erano andati, spinti dai fucili dei soldati israeliani. La sua bocca cominciò a tremare e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Poi una lacrima lunga gli scese giù per il naso... E cosa dovevo pensare?
La natura umana è così inesplicabile. Ciò che divide il bene dal male è un filo talmente sottile, talmente invisibile. Non dissi nulla e pensai che, a volte, quel filo si spezza tra le tue mani, mischiano il bene e il male in un mistero che ti smarrisce. In quel mistero, non osi più giudicare un uomo.”


Conclusione

George Habash è morto nel 2008, a 82 anni. Dal 1992, a causa di un ictus, era rimasto invalido. Non ha mai visto nascere la Palestina come l’aveva immaginata.

Oggi, settembre 2025, stiamo assistendo a un secondo Olocausto a Gaza. Israele non può continuare a generare un odio eterno. Ne ha già subito tanto, nella propria storia.

In Palestina, il mondo libero e civile desidera una sola cosa: la pace. Due popoli, due Stati. E poi, un giorno, forse, una Confederazione unica, come in Svizzera, dove convivono quattro popoli diversi.

Il cammino della Storia è lento. Ma inarrestabile.

G. M.
Il Continente, 27 settembre 2025